Gabriele Tomasi ingegnere alimentare e Marco Pederiva ingegnere civile sono due ex compagni di scuola che dopo anni si ritrovano per caso e scoprono di avere un amore in comune, la birra.
Una coppia di ragazzi delle terre trentine con le idee chiare e competenze ben precise.
Il primo, dopo un’esperienza in Belgio nel birrificio Dupont, si occupa di bollire grani e luppoli, l’altro invece è sempre impegnato a programmare strategie e gestire la parte commerciale. Entrambi si “rimboccano” le maniche ogni giorno per far crescere la loro azienda, BdB, in questo caso Birra del Bosco.
Con Gabriele sempre in sala cottura, ho chiesto a Marco di parlarci del loro lavoro fatto anche di analisi del mercato, progetti di crescita, grafica, ma sopratutto tanta fatica per poter dire un giorno “ce l’abbiamo fatta!”.
Ciao Marco… Com’è stato reincontrarvi e come vi è venuto in mente di iniziare insieme questa avventura?
Ci siamo rivisti dopo anni e appunto la birra ha fatto si che iniziassimo questa avventura insieme…Da homebrewers a professionisti il passo è stato sicuramente non facile, ma chi non risica non rosica, soprattutto in questo paese.
Abbiamo stimoli diversi, ma l’obiettivo è comune: cercare di fare sempre meglio, sia a livello di prodotto che a livello di posizione sul mercato.
Tu lavoravi come commerciale per un’azienda.
All’inizio come ti sei sentito a promuovere e “vendere” qualcosa di tuo?
Hai avuto timore che le persone non comprendessero il valore dell’artigianalità?
Io mi sono sempre occupato di vendite: si sa che la capacità di vendere ce l’hai oppure no. Sicuramente la mia esperienza di commerciale in altre compagnie mi ha fatto crescere e mi ha insegnato tante cose che poi ho applicato per il nostro birrificio.
Sicuramente fondare un’azienda e vendere qualcosa di mio mi da soddisfazioni maggiori.
Questo è aiutato anche dal fatto che amo questo lavoro, il settore della birra e anche del beverage in generale. Si sa che se hai entusiasmo le cose ti riescono meglio.
All’inizio è stata dura, ma per me forse un po’ meno perché ho creduto fin da subito nella bontà del nostro prodotto e nella forza del nostro brand. Fare una birra è comunque difficile, venderla ancora di più, soprattutto in un settore in cui la concorrenza aumenta e ogni giorno si fa sempre più agguerrita.
Mercato birrario estero e italiano… Che differenze ci sono secondo te?
Oltre confine ci sono regole di mercato più snelle che favoriscono la crescita del settore “Birra Artigianale”?
Io cerco di viaggiare il più possibile e di “carpire” i segreti, le tendenze e il funzionamento del mercato all’estero. Sono convinto che molti trand arrivino da noi in ritardo e quindi stare attenti con le antenne sempre alzate può aiutare a prevedere le future evoluzioni di mercato in Italia. Cerco di tenermi sempre aggiornato tramite il web, le riviste di settore e il confronto con i colleghi esteri.
Sicuramente oltreconfine non è tutto rose e fiori, ma ovviamente (siamo in Italia, no?) molte cose sono più semplici.
I due marchi belgi Duvel e Caulier secondo alcuni stanno cercando di “occupare” una fetta del nostro mercato nazionale. E’ un tentativo straniero di controllare una concorrente, la Birra Artigianale Italiana, qualitativamente in evoluzione?
Personalmente credo che nel caso di Duvel la mossa di DUCATO sia stata più che ragionata, e mi sento di condividere le scelte di Campari & Piccoli al 100%, anche se, come tutti, non ho il quadro completo della situazione, e quindi non sputo sentenze come fanno molti talebani in questo settore.
Su Caulier e TOCCALMATTO non ho sufficienti elementi per dire la mia, quindi preferisco stare zitto, anche se di sicuro anche Carilli ha fatto una mossa ragionata (per la sua azienda).
Si dice che “In città è semplice farsi notare perchè la parabola è più corta”. Fantastichiamo per un attimo… vi piacerebbe un giorno esportare il vostro “Made in Italy” oltre confine? Dove e come?
Di sicuro approdare su qualche canale di vendita all’estero ci piacerebbe. Abbiamo avuto una parentesi con un importatore in USA, ma non siamo rimasti soddisfatti del lavoro e abbiamo preferito concentrarci sul mercato nazionale per ora. Stiamo però lavorando su altri fronti per una possibile espansione fuori confine, sui mercati del Nord Europa, Nord America e Australia.
Italia terra di poeti, santi, navigatori e ora anche di mastri birrai.
La grande tradizione vinicola italiana e tutte le conoscenze che ne derivano può far nascere una sorta di impulso creativo che in altri paesi manca?
Ho sempre sostenuto il fatto che noi italiani, oltre ai nostri mille difetti, abbiamo ancora qualcosa che gli altri ci invidiano: la fantasia. Questo sicuramente ha aiutato e aiuta la grande crescita di qualità della birra artigianale italiana.
Il Trentino è una regione piena di risorse naturali strepitose. Secondo me chi non si interessa di ambiente è sicuramente un “incompleto”, gli manca qualcosa ed in più avere un rapporto autentico con la propria terra è sempre una forza, una marcia in più. Cosa ne pensate? Avete progetti per il vostro territorio?
Se per progetti intendi produrre birra con materie prime a km 0, ci stiamo lavorando. Collaboriamo con aziende agricole locali che hanno iniziato da qualche anno a coltivare luppolo. Speriamo che in futuro queste scelte ci diano risultati.
In tutte le etichette della vostra linea classica, oltre a essere graficamente molto accattivanti, sono presenti degli animali e i nomi sono tutte in inglese. C’è un motivo specifico?
Birra del Bosco…gli animali ci sembravano delle scelte azzeccate, così è stato. Credo molto nella forza del marketing.
Un bel vestito sicuramente aiuta, ma poi è la bontà della birra che deve far fare il salto di qualità.
Per quanto riguarda i nomi in inglese…beh…mi piace l’idea, tutto qui. Non abbiamo voluto legarci in maniera evidente al territorio, usando nomi dialettali o italiani…per me rappresenta un limite. Stessa cosa per il logo, che come vedi non segue l’iconografia classica della birra (sorgenti d’acqua, fiori di luppolo, spighe d’orzo, ecc), ma si rifà all’arte Haida del Nord America, popolazioni da sempre in contatto diretto con la natura e i boschi, che ho sempre ammirato.
Un amico un giorno mi confidò che aprire una attività oggi significa dedicarle tutto se stessi, diventa quasi la tua seconda casa, mai perdere d’occhio l’obiettivo.
Una scelta come questa coinvolge, inevitabilmente, chi ti è vicino. Quanto è difficile gestire gli affetti in un’avventura come la vostra?
Fortunatamente io adoro il mio lavoro. Sono supportato da famigliari e amici che condividono il mio entusiasmo. Ad oggi i sacrifici che ho dovuto fare in termini di relazioni umane sono stati altri.
Io sono sempre stato uno che corre ai 200 all’ora e magari per gli altri starmi dietro può risultare dura.
Sviluppare una coscienza nel consumatore è un modo per far crescere il mercato di birra artigianale. Fate qualcosa di concreto per questo?
E’ il mio lavoro quotidiano. Mi sono diplomato Bier Sommelier al Doemens di Monaco per cercare di avere una cultura il più possibile completa, per poi cercare di infonderla nei miei clienti. Sicuramente è una sfida di tutti noi che operiamo in questo settore e che abbiamo contatto diretto e quotidiano col consumatore… Vedo che le cose stanno evolvendo, quindi sono ottimista sul futuro.
Sono partiti nel 2013 dal piccolo Samichél con grandi ambizioni e una visione ampia del mercato che ogni giorno si fà sempre più complesso. Mi auguro un futuro in cui sarà più facile bere birra artigianale italiana fuori dai nostri confini, magari proprio quella di Gabriele e Marco.